La NBA non è solo il campionato di basket più famoso al mondo, ma anche uno dei business sportivi più redditizi visto che gli stipendi nba sono tra i più al mondo. Questo si riflette chiaramente nei contratti milionari firmati dai giocatori. Ma come vengono calcolati questi stipendi da record? E quali sono i top player che guadagnano di più? Scopriamolo insieme attraverso un’analisi approfondita dei salari nella stagione 2025.
Gli stipendi NBA da record
La top 10 dei giocatori più pagati in NBA
Dunque, per la stagione 2025, i contratti in NBA sono più impressionanti che mai. Ecco la classifica aggiornata dei giocatori con i salari annuali più elevati:
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Stephen Curry (Golden State Warriors): 59.6 milioni di dollari
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Nikola Jokic (Denver Nuggets): 55.3 milioni di dollari
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Joel Embiid (Philadelphia 76ers): 55.3 milioni di dollari
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Giannis Antetokounmpo (Milwaukee Bucks): 54.2 milioni di dollari
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Jimmy Butler (Miami Heat): 54.2 milioni di dollari
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Anthony Davis (Los Angeles Lakers): 54.2 milioni di dollari
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Jayson Tatum (Boston Celtics): 54.2 milioni di dollari
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Kevin Durant (Phoenix Suns): 53.3 milioni di dollari
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Devin Booker (Phoenix Suns): 53.1 milioni di dollari
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Jaylen Brown (Boston Celtics): 53.1 milioni di dollari
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Karl-Anthony Towns (Minnesota Timberwolves): 53.1 milioni di dollari
Da notare che queste cifre non includono gli introiti derivanti da sponsorizzazioni, che spesso superano gli stipendi stessi. La classifica riflette l’enorme valore attribuito non solo alle capacità tecniche, ma anche all’esperienza e alla leadership dei giocatori.
Stephen Curry in testa alla lista
Stephen Curry guida la top 10 come il giocatore più pagato, con uno stipendio di 59.6 milioni di dollari. Il playmaker dei Golden State Warriors deve questa cifra record alla sua straordinaria carriera, durante la quale ha conquistato ben 4 anelli NBA e 2 premi MVP. La sua abilità nel segnare da tre punti (42.8% in carriera) lo ha reso una leggenda vivente e un asset fondamentale per la franchigia di San Francisco.
Anche altri nomi di spicco, come Nikola Jokic e Joel Embiid, hanno superato la soglia dei 55 milioni. Questi due ultimi MVP incarnano il dominio dei lunghi nella lega, dimostrando che non sono solo i bei tiri o le triple a fare la differenza nei contratti.
Salary Cap in NBA: regolamenti e curiosità
Come funziona il Salary Cap?
Il tema degli stipendi in NBA non può essere affrontato senza parlare di Salary Cap. Si tratta di un meccanismo che limita la somma totale che una squadra può spendere per i salari dei giocatori durante una stagione. Per la stagione 2025, il salary cap è fissato a circa 136 milioni di dollari per squadra, con una tassa di lusso che scatta per coloro che superano questa soglia. Questo sistema serve a mantenere un equilibrio competitivo tra le franchigie.
Tuttavia, ci sono eccezioni, come il Mid-Level Exception (MLE), che consente alle squadre di offrire contratti sopra il cap a giocatori specifici. Un’altra regola interessante è quella dei Bird Rights, che permette a una franchigia di superare il salary cap per rinnovare il contratto di un proprio giocatore.
Tra le squadre che spesso pagano la Luxury Tax troviamo i Golden State Warriors, un’organizzazione che negli ultimi anni ha investito pesantemente sui salari. Solo negli ultimi cinque anni, hanno pagato più di 337 milioni di dollari in tasse di lusso.
Minimo e massimo salariale
Inoltre, Un altro aspetto fondamentale da considerare è la presenza di limiti minimi e massimi per gli stipendi. I giocatori più giovani, ad esempio, con meno di una stagione in NBA, possono percepire un salario minimo di circa 925.000 dollari.
Il salario massimo, invece, varia in base all’esperienza di un giocatore. Ecco una breve panoramica:
- Fino a 7 anni di esperienza: massimo 25% del salary cap.
- Tra i 7 e i 9 anni di esperienza: massimo 30% del salary cap.
- Oltre 10 anni di esperienza: massimo 35% del salary cap.
Queste regole non solo enfatizzano l’importanza dell’esperienza, ma incentivano anche la longevità in una lega competitiva come l’NBA.
L’importanza degli stipendi nella competitività della NBA
Le implicazioni finanziarie per le franchigie
Ovviamente, gli stipendi elevati hanno un impatto significativo sulle decisioni strategiche delle squadre. Franchigie come i Phoenix Suns, ad esempio, hanno investito pesantemente sui loro giocatori di punta, costruendo un trio d’élite composto da Kevin Durant, Bradley Beal e Devin Booker. Tuttavia, il successo non è garantito. Saranno in grado questi fuoriclasse di portare il primo titolo NBA ai Suns?
D’altra parte, team come i Los Angeles Clippers e i Boston Celtics continuano a puntare sul talento e sulla varietà per mantenere la loro competitività in un panorama in continua evoluzione. Il fattore decisivo? Una gestione oculata degli stipendi. Vediamo come.
Stipendi nba e superstar in NBA
Comunque, nel panorama attuale, le superstar non solo dominano sul parquet, ma generano anche entrate enormi per le franchigie grazie al merchandising e ai biglietti. Questo giustifica contratti impressionanti come quello di Damian Lillard, che ha appena siglato un accordo ricco con i Milwaukee Bucks, o di Jaylen Brown, l’anima dei Boston Celtics.
Oltre il parquet: stipendi NBA e impatto sul business globale
Negli ultimi anni, gli stipendi da capogiro dei giocatori NBA non hanno soltanto cambiato la gestione delle franchigie, ma hanno anche rivoluzionato l’intero ecosistema sportivo che ruota attorno alla lega. Quando un giocatore firma un contratto da 50 milioni di dollari l’anno, come Stephen Curry o Nikola Jokic, l’impatto si estende ben oltre il parquet.
Branding, diritti TV e sponsorizzazioni: la nuova linfa dei contratti
Il crescente valore dei contratti riflette l’enorme crescita del valore commerciale della NBA. I diritti televisivi, in costante aumento, rappresentano la fonte principale di entrate per le franchigie. Il nuovo accordo per i diritti TV a partire dal 2025, stimato in oltre 75 miliardi di dollari in 11 anni, ha già portato ad anticipare un sostanziale aumento del salary cap nei prossimi anni. Questo significa che gli stipendi record di oggi potrebbero sembrare normali in un futuro molto vicino.
Parallelamente, il potere del personal branding dei giocatori è salito alle stelle. Un atleta come LeBron James, pur non essendo più nella top 10 degli stipendi, continua a generare centinaia di milioni grazie a partnership strategiche e investimenti. Le franchigie sanno bene che un contratto elevato per un top player è anche un investimento in visibilità, vendita di merchandising, crescita del pubblico social e valore del marchio.
Sostenibilità e rischio: una sfida manageriale per gli stipendi nba
Naturalmente, stipendi così alti pongono anche sfide serie in termini di sostenibilità finanziaria. Le squadre che investono pesantemente sui contratti delle star devono spesso completare il roster con giocatori a basso costo, spesso giovani o veterani in cerca di rilancio. Questo può compromettere la profondità e la stabilità di una squadra durante la lunga stagione NBA.
Inoltre, l’inevitabile rischio legato agli infortuni rende ogni contratto una scommessa. L’accordo quinquennale di Zion Williamson, ad esempio, è stato oggetto di dibattito proprio per la sua frequente assenza dai campi. La gestione del rischio, dunque, è diventata centrale: analisi mediche dettagliate, assicurazioni sui contratti e team manageriali specializzati sono oggi elementi chiave nel prendere decisioni contrattuali.
Un mercato in evoluzione
La tendenza al rialzo degli stipendi NBA ha anche influenzato altri campionati sportivi, a partire dall’Eurolega fino alla NFL e alla Premier League. Sempre più spesso, i giocatori utilizzano le cifre NBA come riferimento per negoziare i propri contratti internazionali.
Ma la vera sfida per la NBA sarà mantenere questo equilibrio tra spettacolo, sostenibilità e competitività. Se da un lato i salari elevati attraggono talenti da tutto il mondo, dall’altro è fondamentale che tutte le squadre abbiano ancora margine per costruire un progetto vincente. In questo, il salary cap e le luxury tax continueranno a giocare un ruolo decisivo.
NBA 2025: come funziona tetto salariale, luxury tax e i due “apron”
Nel 2025 il sistema retributivo NBA continua a ruotare attorno al tetto salariale (salary cap) e alla luxury tax, due pilastri che governano quanto possono spendere le franchigie per i giocatori. Il cap viene calcolato in percentuale sul Basketball Related Income (BRI) stimato per la stagione, e rappresenta il riferimento da cui discendono tutte le altre soglie operative. Oltre al cap “puro”, esistono i due apron (prima e seconda soglia sopra la luxury tax) che introducono vincoli sempre più stringenti man mano che una squadra spende: chi supera la prima apron dispone di meno flessibilità per firmare o scambiare, mentre andare oltre la seconda apron comporta limitazioni sostanziali, ad esempio nella possibilità di usare alcune eccezioni alla firma, di combinare stipendi in trade complessi o di assorbire salari superiori a quelli ceduti. Il risultato pratico è che, anche volendo pagare la tassa, spendere non basta: ci sono regole che impediscono certe scorciatoie e obbligano a costruire roster sostenibili. Le cifre esatte cambiano di anno in anno con l’andamento dei ricavi, ma la logica resta la stessa: fra cap, tax line e apron si crea una scala a tre gradini dove ogni salto in alto riduce libertà d’azione. Questo spinge i general manager a bilanciare stelle e contratti di medio livello per non ritrovarsi bloccati nelle mosse future. Da tenere presente che molte spese “collaterali” (two-way, buyout, dead money) contano comunque nel computo e vanno pianificate con cura. In ottica 2025, con ricavi in crescita e un ciclo di diritti TV più ricco all’orizzonte, il cap tende a salire, ma sale per tutti: chi si muove in anticipo su estensioni e rookie scale spesso ottiene valore prima che il mercato ricalibri le richieste. Per sintetizzare: capire dove si posiziona la tua franchigia rispetto a cap, luxury e apron non è un dettaglio contabile, ma la bussola che determina che tipo di giocatori puoi firmare, con quali strumenti e a che prezzo.
Max, Supermax e anzianità di servizio: fasce 25/30/35% spiegate con esempi
Il cuore degli stipendi top NBA è nella griglia dei massimali legati all’anzianità: un giocatore con 0–6 anni di servizio può firmare fino al 25% del cap, tra 7–9 anni fino al 30%, e dai 10+ anni fino al 35%. A questa scala si aggiungono clausole “premiali” (il cosiddetto supermax o “designated”) per chi soddisfa criteri di élite come All-NBA, MVP o Difensore dell’Anno entro finestre temporali stabilite: in pratica, alcuni atleti possono iniziare la loro estensione direttamente dal gradino superiore (ad esempio dal 35% anche senza i 10 anni di servizio) se rispettano i requisiti. Gli importi, anno per anno, includono scalettature (step-up) che dipendono dai diritti della squadra: rifirmando con il team che detiene i tuoi Bird Rights, puoi ottenere aumenti annui più generosi rispetto a chi firma da free agent altrove. Per capire come si traduce in numeri, immaginiamo — esempio ipotetico — un cap di 145 milioni: il 25% vale 36,25M di salario iniziale, il 30% 43,5M, il 35% 50,75M. Se un giocatore idoneo al supermax parte dal 35% con aumenti “pieni” per cinque anni, il valore totale può superare di molto i 260–270 milioni a seconda delle percentuali di step-up previste dal CBA. Viceversa, un pari livello che debba firmare da free agent senza diritti Bird partirà da cifre simili ma con incrementi annui inferiori, riducendo il totale. Queste logiche spiegano perché molte stelle preferiscano estendere con la franchigia d’origine: oltre al valore assoluto, contano durata, opzioni giocatore sull’ultimo anno e sincronizzazione con il ciclo competitivo del roster. Attenzione anche ai trigger di eleggibilità: perdere per un soffio un All-NBA può cambiare la fascia di partenza e spostare il totale dell’accordo di decine di milioni. Per i tifosi, la morale è semplice: quando leggete “quinquennale da X milioni”, dietro c’è una formula standardizzata che combina percentuale di cap, anni di servizio, bonus di eleggibilità e diritti mantenuti dal club.
Struttura dei contratti: garantito, opzioni, bonus, trade kicker e scalettature
Un contratto NBA moderno è molto più di un numero secco annuale: c’è la quota garantita, le opzioni (giocatore o squadra), i bonus e meccanismi come il trade kicker che modulano l’ingaggio in caso di scambio. La quota garantita definisce quanto del totale è dovuto a prescindere dal rendimento o dalla permanenza in squadra; i bonus possono essere likely (probabili) o unlikely (improbabili) in base ai parametri della stagione precedente e hanno impatti diversi sul cap al momento della firma. Le opzioni spostano il potere negoziale: una player option consente all’atleta di decidere se restare all’ultimo anno, mentre una team option dà alla franchigia l’ultima parola; non è un dettaglio, perché la presenza di un’opzione può cambiare il valore percepito dell’accordo e la sua scambiabilità. Il trade kicker, invece, è un bonus che si attiva quando il giocatore viene ceduto, tipicamente espresso come percentuale dell’ingaggio residuo: aumenta il costo per l’acquirente e può fungere da “clausola di protezione” del giocatore. Le scalettature annuali seguono regole precise: chi rifirma con Bird Rights può avere aumenti maggiori, chi arriva da fuori no; inoltre, alcune stagioni possono essere parzialmente garantite o legate a date di vesting (se vieni tagliato prima di una certa data, il club risparmia una quota). Ci sono poi i casi di stretch provision: spalmare un salario garantito su più anni per ridurre l’impatto immediato sul cap, soluzione utile ma che genera “dead money” prolungata. Tutti questi strumenti hanno un riflesso pratico: una cifra più bassa oggi può nascondere opzioni e kicker che spostano milioni domani, e viceversa un contratto apparentemente “pesante” può essere leggero se l’ultimo anno è non garantito o con team option. Per questo, quando si valuta se un accordo è “amico del cap”, non basta guardare il totale: bisogna leggere garanzie, opzioni, bonus e tempistiche con cui il denaro diventa effettivo sul tetto.
Rookie scale, two-way ed Exhibit 10: quanto “costano” i giovani e la profondità di roster
La rookie scale è la tabella che definisce i minimi e massimi per i contratti delle scelte al primo giro: ogni posizione di chiamata ha un range prestabilito per i primi anni, con team option tipiche sul terzo e quarto. Questo rende i giovani di qualità straordinariamente efficienti rispetto al cap: se un rookie da lottery produce da titolare, il suo impatto competitivo rispetto al costo è enorme. Il secondo giro è più flessibile: qui le società negoziano durata e garanzie con maggiore libertà, spesso inserendo anni non garantiti o parziali per mantenere cap control. Gli Exhibit 10 sono allegati che trasformano contratti non garantiti in un percorso verso la G League con bonus: ottimi per coltivare prospetti senza bruciare slot a lungo termine. I two-way contracts permettono poi di tenere giocatori “ponte” tra NBA e G League: costano meno, occupano slot dedicati e non pesano come un contratto standard, ma hanno limiti di giorni in cui l’atleta può stare con la prima squadra durante la stagione. Tutto questo non è solo teorico: in un contesto 2025 con cap in crescita ma regole più severe sopra gli apron, la profondità low-cost è la vera valuta per chi ambisce al titolo. Una panchina fatta di rookie scale posizionati bene, second rounders intelligenti e two-way funzionali permette di pagare un core di stelle senza superare le barriere regolamentari che bloccano scambi ed eccezioni. Esempio concreto: se il tuo quintetto assorbe già gran parte del cap, avere due rotazioni da 15–20 minuti su contratti di squadra controllati libera margini per manovrare a metà stagione. Viceversa, colmare i buchi con veterani a minimo può funzionare sul breve, ma senza pipeline di sviluppo il club rischia di pagare “premi di scarsità” al mercato. In più, le scelte sul timing delle estensioni rookie (anticiparle o attendere la restricted free agency) incidono sul cap del futuro: un’estensione fatta prima può sembrare onerosa, ma se la produzione esplode l’anno dopo diventa un affare rispetto alle nuove soglie.
Eccezioni di mercato e vincoli operativi: MLE, Bi-Annual, minimi e sign-and-trade
Le eccezioni sono gli strumenti con cui le squadre firmano giocatori anche quando il cap è saturo. La Mid-Level Exception (MLE) esiste in versioni diverse a seconda della “fascia” in cui cade la squadra: chi resta sotto certi limiti può usare una MLE più ricca e su più anni; chi supera le soglie superiori accede a versioni ridotte o, oltre un certo punto, non può usarla affatto. C’è poi la Bi-Annual Exception, più piccola e utilizzabile a intervalli prestabiliti, e la minimum exception per ingaggiare veterani o giovani al minimo salariale senza “toccare” il cap in senso stretto. Le trade exception (TPE) consentono, in alcune circostanze, di assorbire salari senza inviarne di equivalenti, ma sono soggette a scadenze e limitazioni, specialmente per chi sfora gli apron superiori. Il sign-and-trade resta un canale per monetizzare la partenza di una stella in free agency, ma attiva hard cap e vincoli aggiuntivi per la squadra che riceve il giocatore; inoltre, i club oltre certe soglie non possono completare questo tipo di operazione. Nel 2025, con la spesa complessiva in aumento, le eccezioni “piene” sono diventate molto appetibili: assegnarle a un titolarissimo o a un sesto uomo di alto livello può spostare un’intera stagione. Dall’altro lato, restare oltre la seconda apron costringe a vie molto strette: niente certe eccezioni, scambi più complicati, minore capacità di aggregare contratti per andare a prendere un salario grande. La strategia più efficiente che vediamo emergere è una gestione a finestre: un’estate in cui si resta sotto i limiti per ricaricare il roster con MLE e minimi mirati, seguita da una o due stagioni in cui si spinge forte — consapevoli però che quei vincoli torneranno a mordere alle prossime scadenze. Morale: conoscere quali eccezioni avrai davvero all’atto pratico vale quanto conoscere il talento del free agent che punti di firmare.
Esempi pratici 2025: calcoli di stipendi e impatto “netto” con tasse e bonus (scenari ipotetici)
Per visualizzare come si traducono gli stipendi in pratica, immaginiamo scenari ipotetici su un cap di 145 milioni. Scenario A (Max 25%): una guardia con 5 anni di servizio firma 5 anni al 25% del cap con aumenti “pieni” per diritti Bird. Anno 1: 36,25M; supponendo incrementi annuali standard, il totale quinquennale può superare 200M. Se lo stesso giocatore firma da free agent senza diritti Bird, parte sempre da 36,25M, ma gli aumenti sono più bassi, portando a un totale inferiore di 8–12 milioni su cinque anni. Scenario B (Supermax 35%): un’ala eleggibile al supermax parte a 50,75M; con step-up annui pieni, il pacchetto quinquennale può spingersi oltre 260M. Inseriamo ora un trade kicker del 10%: se dopo due anni viene scambiato con 110M residui, scatta un bonus fino al tetto consentito, che può ridistribuire parte dell’impatto fra stipendio e cap hit del nuovo club. Scenario C (Rookie scale + estensione): una scelta #8 produce da titolare nei primi due anni; la franchigia esercita le team option su anno 3 e 4 e offre un’estensione prima della restricted free agency a, diciamo, 25M annui medi. Se il cap sale, quel 25M “pesa” meno sul tetto futuro; se invece si attende l’offerta di mercato, la offer sheet potrebbe arrivare a 28–30M e costringere la squadra a eguagliare, con impatto più oneroso sopra la prima apron. Scenario D (Netto e tasse): due veterani al minimo firmano in Texas e in California; a parità di lordo, il giocatore in stato con tassazione locale più bassa trattiene più netto, ma attenzione alla jock tax (tassazione proporzionata alle partite giocate in ciascuno stato) e alle trattenute/escrow previste dal CBA che livellano parte delle differenze. Infine, Scenario E (MLE): una contender sotto la prima apron usa la MLE “piena” su un 3&D da 25 minuti; il costo medio annuo è inferiore a quello di mercato per un profilo simile in free agency “aperta”, creando valore cap immediato. Questi esempi mostrano come percentuali di cap, diritti Bird, opzioni, bonus e geografia fiscale incidano sul totale incassato e sulla flessibilità della squadra: nel 2025 la differenza tra un buon contratto e uno ingombrante non è solo la cifra, ma come è costruita.
Conclusioni
Gli stipendi in NBA rappresentano molto più che semplici numeri su un contratto. Illustrano il valore attribuito al talento, alla dedizione e alla capacità di generare spettacolo. Inoltre, regolamenti come il salary cap garantiscono che ogni squadra abbia la possibilità di competere, creando una lega dinamica e imprevedibile.
E tu, quale talento pensi meriti il prossimo contratto record? Partecipa al dibattito e continua a seguirci per tutte le novità nella lega di basket più affascinante al mondo, la NBA! Vuoi seguire in diretta le performance di questi campioni della NBA? Visita la sezione Live di Quigioco per aggiornamenti in tempo reale!
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